“Collegato lavoro”, una mannaia sulla durata dei diritti dei precari

Sono lontani i tempi della riforma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, quello del licenziamento senza giusta causa, una battaglia di chi crede nel liberismo e nella forza del mercato applicata al mercato del lavoro. Sono vicini, molto più vicini i tempi del collegato lavoro. Due strumenti solo apparentemente diversi ma che hanno un identico filo comune. Il primo tentativo di riforma è stato la bandiera del liberismo economico. Una bandiera così evidente da scatenare una reazione uguale e contraria.
Il collegato procede nella stessa direzione ma in una forma più surrettizia, meno diretta. Non si interviene più sui diritti, sulla sostanza dei diritti (la giusta causa). Si lavora sulla durata dei diritti, sul regime delle decadenze. Quindi non più una battaglia ideale, ma una guerra di movimento in trincea in cui si mira al bersaglio grosso senza dare troppo nell’occhio.

Qualche dubbio il collegato lavoro però l’aveva provocato. Tanto è vero che il Presidente Napolitano aveva rispedito il testo il 31 marzo scorso al mittente, alle Camere, chiedendo di rivedere l’impianto complessivo della normativa. Per velocizzare le procedure, per abbattere il contenzioso davanti ai giudici del lavoro, si dava una chiara indicazione di preferenza all’arbitrato, come metodo di risoluzione delle controversie tra datori di lavoro e lavoratori, scelta di favore da inserire nei contratti. Il Presidente della Repubblica ha obiettato e rinviato e quelle obiezioni hanno trovato ascolto, ristabilendo il pendolo dalla parte dei giudici togati e la supremazia della legge sulla disponibilità delle parti.

Altre cose sono invece rimaste nella legge. Il collegato infatti è una specie di matrioska; contiene e nasconde dentro molte cose e molte sorprese. La sgradita sorpresa, per il mondo del precariato, per tutti i precari, siano essi postini od operatori di call center o fabbri o giornalisti, è l’articolo 32.
In sostanza si fissa un ridimensionamento della storia professionale del precario, schiacciata sul qui e ora.
Dal 24 gennaio 2011 in poi i precari, cioè quel vasto mondo legato a ogni tipologia di rapporto di lavoro non a tempo indeterminato – tempi determinati, collaboratori, cococo, cocopro, interinali e così elencando – potranno impugnare davanti al giudice solo le violazioni contenute nell’ultimo contratto.
Ieri funzionava così: quando decido di adire le vie legali, mi trascino tutta la mia storia professionale a termine con quel datore di lavoro. Dopo otto contratti a td non discuto davanti al giudice solo delle violazioni dell’ottavo ma posso anche far valere le violazioni del primo contratto.
Tanti giornalisti, tanti colleghi sono stati assunti così. I giudici hanno sempre tenuto conto della continuità nelle violazioni, di una vita aziendale che si giustifica anche se non sei a completo libro paga.

Dal 24 gennaio se si possono fare valere le violazioni solo dell’ultimo contratto è chiaro che si spuntano le unghie sulla legittimità e la quantità delle recriminazioni. Gli spazi per far valere i diritti obiettivamente si riducono. Resta quest’ultima finestra. Entro sessanta giorni dalla vigenze della legge, il 24 novembre 2010, si possono impugnare tutte le violazioni precedenti in tutti i contratti. E’ l’ultima volta in cui lo si può fare prima di dar avvio alla causa di lavoro davanti al giudice entro 270 giorni. Dopo non ci sarà più spazio.

La contrazione nel potere contrattuale di molti colleghi cade in una fase in cui non si contano i disoccupati, più di seicento solo a Roma, e non si contano i rapporti di lavoro frammentati, in cui manca la solidità della continuità. Buona parte di questi rapporti parziali cade sulle spalle dei giovani, di chi vuole entrare a far parte della categoria a pieno titolo Stampa Romana, con la mobilitazione di questi giorni, vuole fornire un punto di riferimento e un ombrello legale valido per tutti i colleghi che ne faranno richiesta.
Come segretario della consulta dei CdR di Roma e del Lazio, rilancio il tam tam delle ultime ore e vi invito a farlo capillarmente tra tutti coloro che rientrano nel perimetro del precariato. Un’autentica conoscenza dei termini della questione ci aiuterà ad affrontare anche sfide più pesanti che si profilano in quella democrazia sul campo che sono i contratti di lavoro e la rappresentanza sindacale.

Lazzaro Pappagallo
Segretario Consulta dei CdR di Roma e del Lazio