Un diritto, quello alla libertà di opinione e di stampa, che siamo abituati a dare per scontato nel mondo occidentale. Eppure ci sono paesi dove il cammino è ancora lungo e dove si rischia di essere picchiati ed imprigionati se ci si permette di trattare alcuni argomenti tabù e rivelare certe scomode verità.

Al centro del dibattito di sabato 27 aprile alle 17, al centro Alessi, si è discusso della difficile situazione dell’Europa sud-orientale. L’evento, organizzato dall’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia e da “EstOvest” e moderato dalla giornalista Rai Eva Ciuk, ha messo in evidenza quanto ancora vi sia da lottare per il diritto dei reporter a fare il loro lavoro. È intervenuto Oliver Vujovic, segretario generale Seemo (South East Europe Media Organisation): «Innanzitutto bisogna distinguere tra i paesi dell’est che appartengono all’Unione Europea e quelli che non ne fanno parte. In realtà spesso non cambia granché. L’Ue non fa abbastanza per promuovere i diritti all’opinione. Le responsabilità di tale ente sovranazionale sono chiare. Prendiamo il caso della Grecia che sta vivendo un periodo di estremismo e ultranazionalismo. La situazione è dura per i giornalisti, eppure non viene fatto niente. O la Romania e la Bulgaria che per entrare nell’Unione hanno dimostrato di essere cambiati, salvo poi permettere un ritorno dello stato precedente delle cose. Il giornalismo d’inchiesta è fondamentale in questi Stati dove dilagano mafia e corruzione, ma le autorità sono colluse e non forniscono alcuna protezione. Non esiste un giornalismo indipendente, il servizio pubblico è la voce del governo; prevale l’egoismo, alcune notizie non vengono rivelate per paura, si viene licenziati e anche minacciati o arrestati» ha spiegato Vujovic.

Anche Marco Rakar, presidente Windmil (ong croata) e giornalista inserito nel 2009 dal World eGovernment Forum tra le 10 personalità che stanno cambiando il mondo della politica su internet per aver rivelato i brogli elettorali in Croazia, ha denunciato una situazione difficile, anche se migliore di quella di altre realtà dell’est Europa: «Più che di libertà di stampa, comunque limitata anche da noi, la Croazia soffre di una crisi economica gravissima che coinvolge anche i media. Dopo la secessione dalla Jugoslavia le due case editrici principali sono fallite, non c’è lavoro per i giornalisti e il giornalismo investigativo praticamente non esiste».

Tamas Bodoky, direttore atlatszo.hu, sito ungherese che lotta per la libertà di informazione ha rivelato come nonostante il paese faccia parte dell’Ue la repressione e i maltrattamenti dei giornalisti siano all’ordine del giorno: «Rispetto a 20 anni fa quando questo mestiere era prestigioso, soprattutto con la presa di potere di Orban, la situazione è diventata insostenibile. I media appartengono a politici e manager e non lavora per il bene della società. La legge approvata 3 anni fa dal governo, permette un controllo totale dell’informazione. L’unicà libertà risiede in Facebook e nei portali d’inchiesta come il nostro. Ci hanno portato in tribunale perché non volevamo rivelare le nostre fonti, però non abbiamo mollato; alla fine la Corte Costituzionale ci ha dato ragione».

Sophie Tavernese

 

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