L’Aquila è stata distrutta dal terremoto che l’ha colpita il 6 aprile del 2009. La città è ancora in macerie, del miracolo delle ricostruzione, di cui tanto si è parlato nei primi mesi dal sisma, non c’è traccia. Proprio di questo si è parlato oggi nell’incontro “L’aquila dimenticata” organizzato dall’Associazione giornalisti della scuola di Perugia. A moderare c’era la cronista abruzzese Roberta Mancinelli e tra gli ospiti il rettore dell’università aquilana, Ferdinando Di Orio, la giornalista del Corriere della Sera Stefania Ulivi, il freelance Angelo Venti e il fotoreporter Stefano Schirato e il volto del Tg1 Maria Luisa Busi.

La dignità della città ferita – In una sala Lippi colma di un pubblico silente e attento, sono state mostrate le immagini del fotoreporter Schirato. Click vecchi di 3 anni insieme ad altri risalenti solo a pochi mesi fa mostrano la sconcertate realtà di una città rimasta immobile a quel 6 aprile del 2009. “Per il lavoro che faccio – ha spiegato il fotografo – mi sento un apolide, non sono mai legato a un territorio. Eppure, con il terremoto ho voluto gridare al mondo che sono abruzzese. Sono voluto tornare sulle ferite della mia città per ridare dignità a quel luogo”. Una dignità che Di Orio rivendica con forza: “Venti secondi non possono distruggere una città millenaria”. Per il rettore dell’università aquilana, uno dei punti più critici è “la sindrome di Stoccolma che hanno subito le istituzioni locali credendo che per la ricostruzione si stesse facendo tutto il possibile”.

Giustizia e giornalismo – La città è ancora fantasma e si moltiplicano i filoni delle inchiesta giudiziarie: dalle responsabilità sulla morte di 309 persone, agli appetiti criminali che ruotano attorno alla ricostruzione del capoluogo abruzzese. Ma anche i servizi igienici e lo smaltimento dei rifiuti, come ha sottolineato il freelance Angelo Venti, dalle cui inchieste sono nate molte delle indagini che oggi arrivano a processo. Il giornalista è arrivato all’Aquila subito dopo il sisma e da lì non si è più mosso. “L’Aquila dovrebbe essere un laboratorio per le scuole di giornalismo perché è emblematica di un paese intero”. La pensa come lui anche Maria Luisa Busi, giornalista del tg1 che è stata duramente contestata dagli aquilani nel settembre del 2010. Nel rivedere le immagini di quel giorno la Busi quasi si emoziona: “Quell’episodio è stato la ragione per cui ho lasciato la conduzione del tg , la gente gridava vergogna!”. Secondo la giornalista Rai L’Aquila è stata il laboratorio di ciò che lei definisce “populismo mediatico, ovvero il racconto falsato della realtà per scopi propagandistici a cui si sono prestate le televisioni italiane per assecondare l’allora presidente del consiglio Berlusconi”. “In quel momento – spiega la Busi – si è stracciato il patto che lega il servizio pubblico al suo unico editore, i cittadini italiani”.

Con gli occhi delle donne aquilane – Nel capoluogo abruzzese è tornata a tre anni dal sisma anche la giornalista del Corriere della Sera, Stefania Ulivi, che con una squadra di giornaliste ha realizzato un docuweb che si chiama ‘Le (R)esistenti’. “Abbiamo deciso di passeggiare nella zona rossa – ha raccontato – con alcune donne della città, per raccontare la vita a L’Aquila quando dopo la resistenza (la rabbia, la voglia di ottenere giustizia, la necessità di rimboccarsi le maniche per ripartire) inizia l’esistenza, vale a dire la vita di tutti i giorni in una città che sembra essere un posto di guerra”.

Eleonora Mastromarino