Cala il buio sull’incontro organizzato dall’Associazione giornalisti scuola di Perugia in occasione del Festival del giornalismo per dibattere sui risvolti mediatici dell’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, uccisa a Perugia la notte del 1 novembre del 2007. Ma non è un buio da noir, bensì un black out tecnico che lascia senza elettricità il teatro costringendo il pubblico a lasciare un acceso dibattito.

Il punto è: perché il processo Mez ha richiamato tutta questa attenzione? Cosa arriva alla gente attraverso il racconto del giornalista o tramite l’immagine della telecamera? A rispondere, i cronisti delle varie testate che si sono occupati del caso. “Gli ingredienti che suscitano interesse – spiega Meo Ponte di Repubblica – ci sono: sesso, sangue e protagonisti giovani,. Ma – puntualizza – non è con Meredith che nasce il caso mediatico. L’irrazionale che irrompe nelle vite ordinarie è sempre esistito e ha sempre incuriosito”.

D’accordo con lui, Alessandro Capponi del Corriere della Sera: “La stampa ha fatto il suo dovere raccontando i fatti, certo è – sottolinea – che alcuni elementi hanno contribuito, come ad esempio il fascino della città”. Ed è stato proprio Capponi uno di quelli che nel tempo si è concentrato anche sui dettagli emozionali della questione, raccontando espressioni ed emozioni del personaggio di Amanda. “In questo caso – chiede Paolo Poggio del giornale Radio Rai e coordinatore dell’incontro – meglio leggere un articolo in cui vengono delineati certi aspetti o affidarsi all’impatto immediato della telecamera?”

Per Caterina Malavenda, avvocato penalista, meglio il primo caso: “La differenza tra ascoltare e vedere un processo? Io preferisco leggere e immaginare. L’immagine in sé – aggiunge – sottrae all’immaginazione e alla verità”.
E le telecamere? “Amanda e Raffaele – sottolinea Alvaro Fiorucci, caporedattore del Tgr Rai Umbria – sono personaggi perfetti da spendere mediaticamente, rientrano infatti in un target televisivo dal quale ormai non si può più fare a meno”.

Per alcuni casi si arriva addirittura a sottintendere i fatti dandoli per scontati, cosa che spesso accade nei talk show televisivi: “Capita che alcune persone coinvolte in questioni giudiziarie si trasformino in personaggi noti – spiega Maria D’Elia della trasmissione ‘La vita in diretta’ – per questo il pubblico poi sa chi è zio Michele o sa a che cosa si fa riferimento quando si parla di Garlasco”. Al caso Meredith ci si rivolge solo attraverso nomi di battesimo: “Una particolarità rilevante – riflette Claudio Sebastiani dell’Ansa – tant’è che non si parla di caso Kercher, ma del caso Meredith. Anche per gli imputati è lo stesso”.

L’immagine, quindi, conta più del personaggio o del fatto stesso? “Mi sono chiesto – evidenzia – Roberto Tallei di SkyTg24 – cosa sarebbe successo se i protagonisti di questa storia fossero stati un po’ più brutti e un po’ più vecchi. I colpi di scena non sono mancati – rimarca Tallei – e la trama da film ha permesso a noi giornalisti, a volte, di ricamare su alcuni episodi”.

Giorgia Cardinaletti