Primo via libera alla riforma dell’Ordine, ecco cosa cambia

Quarantotto anni di attesa per sette articoli in tutto. Quattro importanti novità e una conferma: per diventare professionisti non servirà la laurea. Così è sempre stato e continuerà ad essere, malgrado le indicazioni in senso contrario formulate in più di un documento dall’Ordine dei Giornalisti.

Non è ancora una legge pronta per la promulgazione, ma la riforma dell’Ordine è dall’8 febbraio qualcosa di più di un atto d’indirizzo o di una bozza programmatica. Approvata dalla Commissione Cultura della Camera, dovrà ora passare per il vaglio del Governo e delle altre Commissioni, recepirne eventualmente i pareri, essere votata di nuovo dalla Commissione Cultura in sede deliberante. Infine approderà al Senato. Eccone intanto la summa dopo il primo via libera.

ARTICOLO 1, L’ACCESSO ALLA PROFESSIONE

La legge sposa alcune modifiche di articoli della legge 69/1963, istitutiva dell’Ordine, a importanti integrazioni. L’articolo 1 interviene sul punto più delicato e urgente, almeno nelle premesse, da sottoporre a revisione: l’accesso alla professione. Una prima versione del testo proponeva d’introdurre la laurea quale requisito essenziale per diventare professionisti. Il Documento d’indirizzo per la riforma dell’Ordine, approvato dal CNOG nella riunione di Positano nel 2008, prevedeva addirittura un canale di accesso unico attraverso un processo formativo strettamente delineato: università e poi scuola di giornalismo. Invece il testo uscito dalla Commissione riserva ai laureati solo alcune esenzioni. Non dovranno sostenere il test previsto dall’art. 33 della legge 1963 per l’iscrizione al registro praticanti, obbligatorio invece per chi è in possesso del solo diploma di scuola media superiore. Poche righe aggiunte in coda all’articolo 35 della stessa legge, rendono necessario per diventare pubblicisti anche il superamento di una prova di cultura generale.

ARTICOLO 2, MENO CONSIGLIERI

Incisiva la sforbiciata che l’articolo 2 (sostitutivo dell’articolo 16 della legge 1963) porterà al numero dei consiglieri nazionali. Dagli oltre 130 di oggi (con possibilità di ulteriori incrementi) la quota diventa 90 e i professionisti dovranno essere il doppio dei pubblicisti: lo scopo è quello di rafforzare la dimensione professionale della categoria. Un regolamento del Ministro della Giustizia dovrà stabilire la composizione del Consiglio e le nuove modalità di elezione. Nel documento di Positano del 2008, proprio il Consiglio Nazionale indicava nella riduzione dei propri membri una delle urgenze più impellenti. Infatti le norme del 1963, varate in un’epoca nella quale gli addetti al giornalismo erano poche centinaia, hanno portato nel tempo ad una cifra giudicata “spropositata” dallo stesso CNOG. Con la nuova legge dovrebbero ridursi non solo oneri economici e problemi logistici, ma anche e soprattutto i tempi di deliberazione in campo disciplinare con migliore tutela delle garanzie degli iscritti, una maggiore incisività e tempestività nelle altre sue attività.

ARTICOLO 3, LA COMMISSIONE DEONTOLOGICA

Due modifiche importanti riguarderanno gli organismi chiamati a vigilare sulla deontologia dei giornalisti e a tutelare gli interessi degli esterni alla categoria. Anche in questo caso, si tratta di due articoli che recepiscono le proposte fatte a suo tempo dall’Ordine dei Giornalisti. Con il primo (articolo 3) il Consiglio Nazionale si vedrà sottratto un po’ di lavoro. La Commissione Deontologica Nazionale nasce come organo di secondo grado rispetto alle deliberazioni dei Consigli Regionali. E’ qui che dovranno approdare i reclami dei giornalisti sanzionati per violazione di codici, carte e della stessa legge del 1963. Gli avvertimenti e le censure saranno ulteriormente appellabili solo davanti alla giurisdizione ordinaria. Per sospensione e radiazione, le deliberazioni della Commissione deontologica dovranno invece essere ratificate dal Consiglio Nazionale.
Secondo l’Ordine serviva un organo d’appello più snello e rapido del CNOG, che anche nella versione “aggiornata” dalla riforma rimarrebbe comunque una giuria sui generis, troppo affollata e macchinosa.

ARTICOLO 4, IL NUOVO GIURI’

Il Giurì per la correttezza dell’Informazione nasce per offrire garanzie maggiori sia ai giornalisti sia a chi si ritiene danneggiato dal loro operato. Svolgerà un ruolo di mediazione preliminare, con una missione simile in parte a quella affidata nella giustizia ordinaria al Giudice di Pace tenuto in prima istanza a esplorare la possibilità di una bonaria conciliazione tra le parti. Il Giurì dovrà cercare di scongiurare, laddove possibile, il ricorso al giudice ordinario da parte della persona che si sente vittima della pubblicazione di notizie ritenute false. Già presente nella piattaforma votata all’unanimità nel 2002 dal Cnog, sarà istituito in ogni distretto di corte d’appello e composto da cinque membri: uno nominato dall’Agcom, due dal Consiglio competente dell’Odg, uno tra i magistrati di corte d’appello, uno da Fieg ed Fnsi. Potrà assumere provvedimenti d’urgenza.
Nel documento d’indirizzo del 2002, il Giurì viene identificato come collegio di riferimento per soggetti terzi che, ritenendosi ingiustamente danneggiati, vogliano ottenere una pronta rettifica. In caso di ricorso, secondo il  documento, la decisione deve arrivare non oltre 15 giorni. Il ricorso, accettato da entrambe le parti, va presentato in forma scritta entro 15 giorni dalla pubblicazione della notizia ed esclude, di per sé, ogni altra azione risarcitoria da parte del ricorrente. Nella legge appena approvata organizzazione e funzionamento del Giurì sono demandati a un regolamento del Ministro della Giustizia. Resta da capire se il nuovo organismo giudicherà i ricorsi con i modi e le limitazioni proposte dall’Ordine nel 2002.

IL RESTO

Se il nocciolo della riforma è nelle modifiche appena elencate, ci sono poi alcuni interventi collaterali ma dall’evidente risvolto pratico. Dall’ultimo articolo, il 7, arriva un ulteriore invito a prendere sul serio l’esame per gli aspiranti professionisti del futuro: con la legge 69 riformata i candidati all’esame potranno presentare solo due domande di ammissione alla prova nell’arco dell’anno solare. All’articolo 5 si stabilisce invece che il Consiglio nazionale può essere convocato anche con notificazione inviata tramite posta elettronica.
La fisionomia della legge è tutt’altro che definitiva: l’iter legislativo è ancora lungo, ulteriori modifiche ovviamente possibili. Senza contare che, anche dopo l’entrata in vigore della legge, il regolamento ministeriale incaricato di disciplinare le modalità di elezione del Consiglio Nazionale dovrà passare dal vaglio delle commissioni parlamentari competenti per un parere. Quello che chiarirà il funzionamento del Giurì, invece, dovrà avere il via libera di AGCOM e Consiglio Nazionale dell’Ordine.

Martino Villosio