Per scoprire cosa succedeva in Irak alle truppe americane c’è voluto un blogger italiano.
David Randall, caporedattore dell’Independent e autore del libro “Un giornalista quasi perfetto”, ha ricordato l’importanza della formazione di giornalisti d’inchiesta.

Si è parlato di giornalismo investigativo e indipendenza dei media nel convegno organizzato, in collaborazione con Nuovi Mondi Media, dall’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia e coordinato da Monica Maggioni del Tg1.
“Il giornalista investigativo è quello che va al di là delle notizie standard e delle comunicazioni delle fonti per scoprire quello che accade”, ha detto Randall.

Anthony Depalma del New York Times, ha parlato della necessaria distanza che un giornalista deve tenere dalle fonti: bisogna essere abbastanza vicini da ottenere informazioni privilegiate, ma abbastanza lontani da non farsi coinvolgere emotivamente, restando obiettivi. La libertà di stampa, ha proseguito Depalma, “è un valore che spesso si da per scontato: sarei messo in prigione a Cuba per quello che faccio ogni giorno a New York”.

Della Francia ha parlato Eric Laurent, di Le Figaro. “Il rischio è che propaganda ed editori scelgano di stampare le leggende più della verità. E’ quello che è successo con l’Irak e che sta succedendo oggi con l’Iran, dove personaggi dubbi vengono accreditati come fonti attendibili.

Di giornalismo di guerra ha parlato anche la Maggioni: “Da quando le televisioni, Rai in particolare, hanno dovuto abbandonare l’Irak l’informazione è diventata piatta. Solo un cumulo di numeri e di morti. E’ preoccupante, ha aggiunto, che Mastrogiacomo, dopo la liberazione dai Talebani in Afghanistan, sia stato giudicato un avventuriero”.

Ma il giornalismo investigativo è minacciato anche da politica, economia e metodo, secondo Jacopo Zanchini, di Internazionale: “Seguire i comunicati di aziende e politica non è fare informazione, ma fare comunicazione. I nostri giornali, ha detto Zanchini, ci danno più opinioni, e corsivi scritti in punta di penna che informazione.

Ma Randall ha ricordato a tutti che il giornalismo d’inchiesta si fa con il cuore oltre che con il cervello. Fare inchieste è il nostro lavoro: chiunque lo può fare. Non è necessario andare in guerra, basta cercare nella propria città.