“Perché durante la rivoluzione quando in piazza sono scese le donne noi occidentali ci siamo meravigliati?”. La domanda se la pone Francesca Caferri, giornalista di Repubblica durante il panel “Fra le strade di Tunisi: se il velo copre i gelsomini” dedicato alla questione femminile nella Tunisia a due anni dalla caduta di Ben Ali. All’incontro, organizzato dall’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia e moderato dalla giornalista Claudia Bruno, hanno preso parte la presidente dell’Associazione Pontes Ouejdane Mejri e, in collegamento dal Pakistan, l’inviata del Tg3 Lucia Goracci.

Le donne e la rivoluzione – “Il ruolo delle donne nella rivoluzione è stato fondamentale – ha detto Caferri – se non altro perché sono esattamente la metà delle persone che sono scese in piazza. In Tunisia da sempre le donne hanno un ruolo importante: vederle protestare meraviglia solo noi occidentali abituati a immaginare la donna araba velata e chiusa in casa”. Ouejdane Mejri ha sottolineato che nel 2011 le donne e gli uomini scesi a fare la rivoluzione “chiedevano i diritti dell’uomo, senza distinzione di sesso” ed ha portato il dibattito al cuore del panel: le varie facce della questione femminile araba. “Ci sono donne che chiedono di poter portare il velo e ci sono anche donne laiche che si sono scagliate contro di esso. Ci sono donne che vogliono mostrare la propria religione ed altre che sono spaventate dal fatto che questo sia il segno dell’arrivo di un Islam politico”.

Il femminismo velato – “Il femminismo lo abbiamo inventato noi occidentali, è sbagliato parlare di femminismo islamico” dice Caferri, però effettivamente in Tunisia esistono movimenti femministi di donne velate. Per femminismo islamico, continua la giornalista di Repubblica, “si intendono uomini e donne che rileggono il corano in una prospettiva femminile”. Nel senso di rileggere il testo sacro con l’intenzione di recuperare un messaggio originario e attualizzarlo. Si è parlato della foto di Amina, la ragazza che scegliendo il “format” inventato dal gruppo femminista ucraino delle Femen, ha postato una foto in topless su Facebook con il busto ricoperto di messaggi di protesta. Mejri tiene a sottolineare come “tra il burka e il nudo ci sia tutta una gamma di sfumature diverse” e di come non ci sia una “unicità nel mondo femminile arabo”. Quello che le donne tunisine vogliono, inoltre, secondo Mejri, non è un modello importato di femminismo.

Amina e i social – Amina è stata uno shock per il mondo tunisino: solitamente la nudità è assente dallo spazio pubblico e l’uso di uno strumento così importante per i tunisini come Facebook è stato una cassa di risonanza enorme. Mejri dice che “oggi i tunisini su Facebook sono 4 milioni su 10 milioni di popolazione, e tutti coloro che vogliono parlare sono li, comprese le persone anziane”. Due anni fa è cominciato tutto sulle piattaforme sociali, e il processo di democratizzazione è ancora tutto in atto. Lucia Goracci nel suo intervento mediante Skype ribadisce che “non si può pretendere che queste primavere avvengano subito, da un giorno all’altro: le leggi si cambiano da un giorno all’altro ma la mentalità no”. E’ ancora presto, dunque, per parlare di autunno arabo ma la situazione femminile in Tunisia si prospetta in progressivo miglioramento.

Carlotta Balena