Cronache dalla Calabria: volti e storie dei giornalisti minacciati dalla ‘ndrangheta

Lettere intimidatorie, proiettili, auto bruciate, intrusioni, furti, minacce, aggressioni. Questo il tema dell’incontro tenutosi mercoledì pomeriggio alle 18:30 presso la Sala Lippi dell’UniCredit, organizzato in collaborazione con l’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia.

La conferenza, intitolata “Cronache dalla Calabria: volti e storie dei giornalisti minacciati dalla ‘ndrangheta”, ha visto la partecipazione di Pierpaolo Bruni, PM della procura di Catanzaro, Riccardo Giacoia, giornalista del TG1, Lucio Musolino, collaboratore de Il Fatto Quotidiano e La7, Roberto Rossi, giornalista e scrittore.

Gli ospiti hanno raccontato la loro esperienza personale, evidenziando il triste primato della Calabria nelle minacce ai giornalisti: sono stati registrati, infatti, ben 20 episodi tra il 2009 e il 2010 su un totale di 55 su scala nazionale.

Come ha fatto notare Roberto Rossi, la crescita di questo fenomeno è avvenuta negli ultimi anni anche a seguito di due avvenimenti principali: la nascita, 14 anni fa, del “Quotidiano della Calabria”, che ha abbandonato la mera cronaca per cercare di fare luce sul fenomeno nel complesso; la nascita di “Calabria ora”, un giornale composto da giovani redattori che «volendo affermarsi facevano anche del giornalismo un po’ indisciplinato, ma comunque importante al fine di portare l’attenzione sul fenomeno criminale», come ha spiegato Rossi.

Un attenzione, quella di “Calabria ora”, che non è piaciuta ai poteri mafiosi, che hanno reagito con minacce ai giornalisti e all’intera redazione, costringendo l’editore a seguire una linea più attenta e moderata. Uno dei giornalisti minacciati, Lucio Musolino, ha raccontato la sua vicenda, iniziata nel maggio 2010, quando – dopo la pubblicazione di un’informativa che riguardava il rapporto tra politica e ‘ndrangheta – il suo ex direttore è stato costretto alle dimissioni insieme ad altri otto redattori.

Da allora tutto cambia: a Musolino vengono censurati i pezzi dove figurano nomi di politici; gli viene proposto il trasferimento a Lamezia terme o Catanzaro; si avvia una campagna mediatica che lo trasforma da buon giornalista a giustizialista, “forcaiolo”. «A loro piacciono i giornalisti maggiordomi, quelli che copiano e incollano i comunicati stampa e non quelli che cercano di capire i rapporti tra mafia e politica», si è sfogato il giovane giornalista.

D’accordo anche Riccardo Giacoia, che ha raccontato il clima al TG1: «Non voglio parlarne perché ho un mutuo da pagare», ha scherzato, per poi raccontare come ha pubblicato alcune sue inchieste: «Ho approfittato dell’assenza del vicedirettore di turno e della buona fede di qualche collega, convincendolo della bontà del servizio».

«La ndrangheta – ha spiegato Paolo Bruni – se la prende coi giornalisti per la stessa ragione con cui se la prende con noi magistrati: perché possiamo abbattere l’omertà, quel cono d’ombra dentro cui si nasconde». Il magistrato ha poi aggiunto: «La differenza tra magistrato e giornalista è che mentre il primo deve trattare solo fatti provati, l’altro deve anche rendere noti quei comportamenti sospetti, come gli incontri nei salotti tra persone che non dovrebbero essere sedute sullo stesso divano».

Insomma, il giornalista in Calabria è spesso costretto a pagare un caro prezzo per eseguire onestamente il proprio lavoro, ma ciò non deve scoraggiarlo: ritirarsi significa perdere, significa comprimere il diritto dei cittadini ad essere informati. Un diritto che sta alla base della stessa democrazia.

Enrico Santus