Stagisti e aziende in crisi: l’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia propone un tavolo con le parti sociali che rediga la “Carta dello stagista”

In merito alle polemiche tra Ordine dei Giornalisti e Fnsi sulla questione degli stage nelle aziende in stato di crisi, l’Associazione Giornalisti Scuola di Perugia propone la creazione di un tavolo formato da Editori, Ordine dei giornalisti, dalla Fnsi e dalle Scuole di giornalismo, che rediga una sorta di “Carta dello stagista”, ovvero fissi regole certe per gli stage nelle aziende editoriali a cominciare dalle attività permesse e vietate in redazione, fino alla definizione di meccanismi di controllo e sanzione adeguati nei confronti di chi viola le regole. In tale modo si potrebbero definire una volta per tutte le declinazioni pratiche di un principio semplice: quello per cui il giornalista lavora e lo stagista impara.

 

Come ex allievi della Scuola di giornalismo di Perugia condividiamo che i praticanti in stage nelle redazioni non possono in alcun modo sostituire i colleghi che lavorano nelle aziende editoriali né tantomeno devono essere utilizzati come manodopera a costo zero per evitare il ricorso a sostituzioni ferie e malattia da parte degli editori. Ma la partecipazione a stage nelle redazioni di grandi e piccole testate rimane per noi un’attività formativa fondamentale che consente ai colleghi più giovani di acquisire quel bagaglio di conoscenze professionali e deontologiche che li renderà giornalisti più preparati, più sicuri, più consapevoli, ed in definitiva, più liberi.

Il punto allora è il rispetto delle regole, che solo può evitare la guerra generazionale, quella dei “giovani” contro “vecchi”, dei tutelati contro non i tutelati, degli stagisti e dei contrattisti a termine contro gli espulsi dal mercato del lavoro. Crediamo che sia compito degli organismi di categoria, a cominciare dai Cdr, fino alle Associazioni di Stampa, alla Fnsi, all’Ordine, e persino alle stesse Scuole di giornalismo, far rispettare le regole che già ci sono per consentire che l’accesso alla professione non si risolva in una guerra “tra poveri”.